L’Italia? Sarà al centro della rivoluzione dell’idrogeno. Una fonte di energia «verde» e ormai affidabile che può garantire un impatto straordinario tanto sul Pil (fino a 40 miliardi nel 2050) quanto in termini di occupazione, con ricadute stimate in oltre 540 mila nuovi posti di lavoro. Le stime sono al centro dello studio H2 Italy 2050: una filiera nazionale dell’idrogeno per la crescita e la decarbonizzazione dell’Italia, realizzato da The European House - Ambrosetti, in collaborazione con Snam, e presentata nell’ambito del Forum in corso a Cernobbio, per esaminare per la prima volta le potenzialità della filiera italiana dell’idrogeno.
La sfida italiana dell’idrogeno
L’Italia può dunque giocare un ruolo da protagonista nella riconversione tecnologica e nel consolidamento della filiera dell’idrogeno. Grazie al suo particolare posizionamento geografico e all’estesa rete gas presente sul territorio, il nostro paese può aspirare al ruolo di hub europeo e del Mediterraneo per quanto riguarda il fronte dell’idrogeno. E in termini di contributo al Pil è stato stimato un valore aggiunto (diretto, indiretto e indotto) compreso tra 22 e 37 miliardi di euro al 2050. Il contributo all’economia è riconducibile anche all’occupazione, grazie alla possibile creazione, tra impatti diretti, indiretti e indotti, di un numero di nuovi posti di lavoro compreso tra 320.000 e 540.000 al 2050.
Perché l’Italia: competenza e potenzialità
Secondo la ricerca, l’Italia può sfruttare un posizionamento forte in alcuni settori collegati, come quello della produzione di tecnologie termiche per l’idrogeno (primo produttore in Europa, con una quota di mercato del 24%), tecnologie meccaniche per l’idrogeno (secondo produttore in Europa, con una quota di mercato del 19%) e tecnologie per la produzione di idrogeno rinnovabile (secondo produttore in Europa, con una quota di mercato del 25%). Inoltre, c’è il posizionamento geografico a dare altri vantaggi all’Italia: si potrà importare idrogeno prodotto in Nord Africa attraverso l’energia solare a un costo del 10-15% inferiore rispetto alla produzione domestica, valorizzando la maggiore disponibilità di terreni per installazione di rinnovabili e l’elevato irraggiamento e al contempo diminuendo la variabilità stagionale. In questo modo, il Paese può diventare il «ponte infrastrutturale» tra l’Europa e il continente africano, abilitando quindi una maggiore penetrazione dell’idrogeno anche negli altri Paesi europei. Inoltre, la rete del gas italiana (e qui entra in gioco Snam) può costituire la base per accogliere sempre maggiori percentuali di idrogeno, attraverso una serie di investimenti mirati. Infine, il sistema energetico italiano, contraddistinto da un ruolo importante delle rinnovabili e da competenze distintive sul biometano, è in grado di integrare efficientemente l’idrogeno.
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Gli investimenti per cogliere l’occasione idrogeno
Per poter beneficiare appieno del potenziale di sviluppo della filiera, l’Italia ha però bisogno di investire in ricerca. «Ci sono tutti gli elementi perché l’italia possa candidarsi a essere l’hub europeo dell’idrogeno, un ponte tra l’Europa e il contente africano». Mentre è indubbio che la transizione energetica sia un percorso che tutti gli Stati europei devono perseguire con rigore e costanza per poter «combattere il cambiamento climatico e lasciare in eredità alle prossime generazioni un mondo libero dalle fonti fossili», ha dichiarato Valerio De Molli, managing partner & ceo di The European House - Ambrosetti. È stato stimato che si potrebbe attivare un valore della produzione delle tecnologie per la filiera dell’idrogeno compreso tra 64 e 111 miliardi al 2050. Il valore cumulato della produzione delle filiere connesse all’idrogeno, considerando effetti diretti, indiretti e indotto, nel periodo 2020-2050 è compreso tra 890 e 1.500 miliardi. Secondo gli scenari di penetrazione per l’Italia, l’idrogeno ha il potenziale di coprire il 23% della domanda energetica nazionale al 2050. Tale aumento della quota di idrogeno nei consumi energetici finali permetterebbe al Paese di ridurre le emissioni di 97,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, corrispondente a una riduzione di circa il 28% rispetto alle emissioni «climalteranti» italiane odierne.
I vantaggi dell’idrogeno e l’impatto sul clima
L’idrogeno, grazie alle sue caratteristiche intrinseche, può essere considerato un vettore energetico indispensabile per il futuro «decarbonizzato», in stretta sinergia e complementarietà con il vettore elettrico: l’idrogeno genera emissioni nulle e può essere prodotto con processi a zero emissioni climalteranti. In tal modo l’idrogeno potrà essere impiegato soprattutto nei settori che ancora oggi contribuiscono maggiormente alle emissioni climalteranti, dall’industria pesante (chimica e siderurgica) al trasporto pesante e a lunga percorrenza (veicoli commerciali pesanti e bus), dal trasporto ferroviario non elettrificato fino al residenziale, per il quale vengono esaminati vari tipi di impieghi, in particolare nel riscaldamento. Inoltre, l’idrogeno è in grado di offrire vantaggi all’intero sistema energetico, garantendone flessibilità e resilienza, appianando i picchi di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e sostenendo in questo modo la crescente diffusione di rinnovabili non programmabili anche grazie alla capacità distintiva di fungere da elemento di congiunzione tra il settore del gas e quello dell’energia elettrica.
Il contributo al Pil e all’occupazione
In termini di contributo al Pil, è stato stimato un valore aggiunto (diretto, indiretto e indotto) compreso tra 22 e 37 miliardi di euro al 2050. Il contributo all’economia è riconducibile anche all’occupazione, grazie alla possibile creazione, tra impatti diretti, indiretti e indotti, di un numero di nuovi posti di lavoro compreso tra 320.000 e 540.000 al 2050. Per valorizzare le molteplici opportunità offerte dall’idrogeno e trarne i massimi benefici, lo studio suggerisce che l’Italia si doti di un piano basato su sei azioni: elaborare una visione e una strategia di lungo termine; creare un ecosistema dell’innovazione e accelerare lo sviluppo di una filiera industriale dedicata attraverso la riconversione dell’industria esistente e l’attrazione di nuovi investimenti; supportare la produzione di idrogeno decarbonizzato su scala nazionale; promuovere un’ampia diffusione dell’idrogeno nei consumi finali; incentivare lo sviluppo di competenze specialistiche sia per le nuove figure professionali sia per accompagnare la transizione di quelle esistenti; sensibilizzare l’opinione pubblica e il mondo dell’impresa sui benefici derivanti dall’impiego di questo vettore.
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Fonte: Corriere