“Ora che la situazione sui prezzi del gas è tornata alla normalità, bisogna focalizzare l’attenzione sulla creazione di una strategia nazionale ad hoc per l’idrogeno. Ma bisogna muoversi in tempo”. In questa intervista, Davide Perego, Project manager e responsabile dell'Hydrogen Innovation Report presentato nei giorni scorsi (v. notizia a parte) nonché componente dell'Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, spiega le motivazioni per cui l’Italia non ha ancora delineato una strategia nazionale per l’idrogeno, dando al contempo la sua ricetta per un vero rilancio del settore: servono incentivi ad hoc, coerenza con quanto stabilito a livello EU all’interno dei Delegated Act alla Red II, iter autorizzativi più snelli.
Dall’Hydrogen Innovation Report 2023 redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano e presentato nei giorni scorsi, emerge che l’Italia è particolarmente indietro sui progetti nel settore dell’idrogeno. La motivazione principale è che manca ancora una strategia nazionale al contrario dei 5 Stati più attivi (Germania, Spagna, Olanda, Danimarca e UK). Perché il nostro Paese fa così fatica a delineare questa strategia?
Dal mio punto di vista il ritardo accumulato dall’Italia nella creazione di una strategia nazionale sull’idrogeno è legato una questione di priorità. All’emanazione delle linee guida del Ministero dello Sviluppo Economico in merito alla strategia nazionale per l’idrogeno del novembre 2020, non è seguita la pubblicazione di una strategia definitiva.
In questo contesto sicuramente ha influito la necessità primaria, a partire da luglio-agosto 2022, di controllare e calmierare l’aumento del prezzo del gas. Tuttavia, l’Italia deve considerare le difficoltà specifiche per il raggiungimento degli obiettivi per la piena decarbonizzazione al 2050, ed attivarsi per tempo.
Se facciamo un confronto con il mondo rinnovabili, il 2022 ha visto una crescita che non si era vista da molti anni in Italia ovvero, +3 GW di installato considerando il fotovoltaico e l’eolico. Ma se ci confrontiamo l’installato 2022 con i principali cinque Paesi Ue siamo all’ultimo posto sia nel fotovoltaico sia nell’eolico. Abbiamo degli obiettivi che ci spingono raggiungere circa 125-150 GW di potenza FER installata al 2030; il “passo” al quale dovremmo crescere è compreso tra 8,6 e 10,7 GW l’anno, quindi ben tre volte l’attuale.
Il rischio che vedo per idrogeno è lo stesso, abbiamo degli obiettivi che al momento sono meno sfidanti (la RED III prescrive ad esempio una penetrazione di RFNBO al 2030 almeno pari al 42% dei consumi di idrogeno nell’industria) e ancora raggiungibili, ma se non ci attiviamo per tempo sarà molto difficile raggiungerli al 2030. Ora che la situazione sui prezzi del gas è tornata alla normalità, bisogna focalizzare l’attenzione quindi sulla creazione di una strategia nazionale ad hoc per il settore.
Eppure ci sono i fondi del PNRR che il Governo ha messo a disposizione proprio per rilanciare il settore. Quest’anno sono infatti partiti tutti i bandi del PNRR per attuare i protocolli di intesa sull’Hydrogen Valleys, ossia siti di produzione di idrogeno verde in aree industriali dismesse….
Gli stanziamenti PNRR per lo sviluppo e la diffusione dell’idrogeno sono importanti, parliamo di 3,64 miliardi, e la maggior parte sono stati assegnati, siamo al 63,3%.
L’unica misura ad oggi che ha visto una ridotta assegnazione di fondi (103,5 milioni di euro su 230) è stata quella delle stazioni di ricarica di idrogeno per il trasporto stradale, ma effettivamente anche i bandi del PNRR legati all’infrastruttura di ricarica elettrica hanno avuto medesimi problemi di stanziamento delle risorse. Però nel complesso l’avanzamento sui bandi PNRR dell’idrogeno risulta soddisfacente.
Quindi non è una contraddizione che l’Italia stia così indietro nei progetti per l’idrogeno nonostante il PNRR?
Il mercato dell’idrogeno è un mercato nascente quindi ad oggi sono necessari investimenti da parte dei player della filiera per creare le infrastrutture di produzione, stoccaggio e trasporto e anche investimenti nella sperimentazione dell’idrogeno nei settori industriali e del trasporto pesante.
Quindi queste iniziative del PNRR servono per dare un primo slancio al mercato. L’effettivo sviluppo del mercato è legato alla competitività dell’idrogeno, in particolare dell’idrogeno rinnovabile, attraverso una riduzione degli attuali costi di produzione.
Ad oggi questa competitività rispetto agli attuali combustibili e all’idrogeno grigio non c’è, quindi devono essere inseriti anche degli incentivi, come per molte altre tecnologie legate alla decarbonizzazione.
Su quali principi dovrebbe quindi essere impostata una strategia sostenibile per l’idrogeno?
Sono fondamentali due cose: essere coerenti con quanto stabilito a livello EU all’interno dei Delegated Act alla Red II e, siccome l’idrogeno rinnovabile attualmente ha un costo difficilmente sostenibile per gli attuali e futuri utilizzatori, prevedere incentivi ad hoc, coerenti con quello delle altre tecnologie per la decarbonizzazione.
Aggiungerei anche un terzo punto, che è generale, non solo per l’idrogeno, ossia snellire gli iter autorizzativi delle fonti FER. Ma anche creare una regolamentazione chiara per gli iter autorizzativi per tutto quelli che sono gli impianti di produzione, stoccaggio e trasporto di idrogeno che al momento non è stata ancora pienamente definita.
Quali sono le principali criticità legate al trasporto e allo stoccaggio?
Dal punto di vista tecnologico non ci sono specifiche criticità tecnologhe. Ci sono già delle infrastrutture attive da anni per il trasporto dell’idrogeno compresso sia in pipeline che tramite carri bombolai, e anche lo stoccaggio di idrogeno è un’attività effettuata da decenni nell’industria chimica.
Anche in questo contesto le criticità sono legate alla regolamentazione per permettere l’implementazione di queste infrastrutture, e alla verifica della possibilità di riconvertire al trasporto e allo stoccaggio d’idrogeno, le infrastrutture attuali presenti sul territorio.
Un’ulteriore difficoltà è capire quali sono gli orizzonti temporali con cui attuare questi investimenti relative alla creazione/riconversione delle infrastrutture. Al momento non è presente un mercato per idrogeno, e molte delle attuali infrastrutture sono e saranno ancora utilizzate per molto tempo per il trasporto e lo stoccaggio di gas; tuttavia, lo sviluppo delle infrastrutture per l’idrogeno richiederà anni. Quindi bisogna muoversi per tempo.
A proposto di deficit infrastrutturale, nel settore dei trasporti si registrano criticità sul numero delle colonnine di ricarica a idrogeno. Quali sono secondo lei gli obiettivi minimi vincolanti che dovrebbero essere posti sulle stazioni a idrogeno? Ad oggi invece quali sono i numeri? Quali sono ostacoli che ancora persistono?
Le stazioni di ricarica a idrogeno in Italia sono molto risicate, ce n’è una a Bolzano ed una a Mestre. Allo stesso tempo però sono minime anche le immatricolazioni delle autovetture ad idrogeno: 10 veicoli nel 2021, 11 nel 22 e solo 2 nei primi sei mesi del 2023. A fronte di quasi 33.000 veicoli elettrici nei primi sei mesi del 2023. Quindi è vero che manca l’infrastruttura, ma manca al momento anche la domanda.
Però potrebbe anche essere che una persona non compri la macchina a idrogeno perché sa che poi non riesce a ricaricarla…
Vedo due aspetti. I produttori automobilistici stanno focalizzando le proprie offerte sui veicoli a batteria (BEV), e non stanno puntando particolarmente sui veicoli a idrogeno. Abbiamo la Toyota Mirai e pochi altri modelli al momento disponibili. Inoltre, i costi di acquisto di un veicolo a idrogeno risultano superiori anche a quelli di un veicolo elettrico. L’infrastruttura di ricarica per l’idrogeno è sicuramente un altro tema. Anche se qualcosa sta cambiando.
All’interno del PNRR erano previsti 230 milioni per lo sviluppo delle stazioni di ricarica ad idrogeno, di circa 104 milioni sono stati assegnati per la realizzazione di 36 progetti, principalmente collocati nel Nord Est. Secondo la proposta di regolamento sull'infrastruttura per i combustibili alternativi (AFIR), al 2030 è necessario implementare un’infrastruttura di rifornimento di H2 in grado di servire sia autovetture che furgoni e camion (pari a circa 49 stazioni in Italia, secondo le stime di Hydrogen Europe) e ogni 200 km della rete centrale TEN-T (quindi 21 stazioni). Quindi 70 stazioni in Italia al 2030 e con i progetti del PNRR siamo sostanzialmente a metà.
L’idrogeno è fondamentale anche per decarbonizzazione l'industria pesante. A che punto è l’innovazione tecnologica su questo fronte? Progetti e “buona pratiche” da evidenziare?
Industria Hard-to-Abate è una delle principali destinatarie dell’utilizzo dell’idrogeno. Ci sarà una progressiva sostituzione dell’attuale idrogeno grigio con quello verde, all’interno delle industrie della raffinazione, e dei processi chimici legate ad esempio alla produzione del metanolo e dell’ammoniaca. Allo stesso tempo per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione settori quali quello dell’acciaio, della carta, della ceramica, del vetro, saranno chiamati ad un progressivo cambio del mix di combustibili usato, passando ad esempio all’idrogeno o al biometano.
Anche i fornitori tecnologici si stanno muovendo per favorire l’utilizzo dell’idrogeno nei settori industriali. Relativamente ai cogeneratori a motore a combustione interno siamo partiti da soluzioni che potevano accettare blend di idrogeno comprese tra il 5 e il 10%, mentre ora stanno entrando in commercio soluzioni compatibili con alimentazione al 100% di idrogeno. L’evoluzione avviene anche per le caldaie, infatti, sono già disponibili a mercato macchine dual fuel in grado di funzionare con miscela di gas naturale e H2 in percentuale variabile da 0 a 100% e caldaie mono-combustibile full hydrogen.
Ultimo passaggio, è comprendere, attraverso dei progetti piota, se l’adozione dell’idrogeno in alcuni specifici settori industriale può determinare alcune criticità, quali ad esempio l’aumento del tasso di difettosità nei prodotti finali. Per esempio, alcuni progetti pilota nella produzione di vetro cristallo, in seguito all’utilizzo di idrogeno nei forni di fusione, hanno mostrato un aumento dei tassi di difettosità derivante dalla formazione di cristalli di piombo.
A cura di Elena Veronelli