In Italia nascerà una città dell’idrogeno

Energia, mobilità, trasporti, riscaldamento domestico, persino il settore aerospaziale sono tutti ambiti dove l'idrogeno già oggi svolge un ruolo importante.

Per incentivare questo vettore energetico, attore protagonista della decarbonizzazione e della transizione energetica, nella sua versione green, l’Italia si prepara a creare una vera e propria città idrogeno-centrica. Più che di città, si parla di una “Hydrogen Valley”, un luogo che al pari della famosa silicon valley riesca a combinare mondo della ricerca e produttivo, così da trasformare progetti in applicazioni industriali.

Sorgerà nel Centro Ricerche Casaccia di ENEA, alle porte di Roma, probabilmente il più grande centro di ricerca e sviluppo d’Italia: sviluppato su più di 100 ettari di superficie, qui vi operano già oggi circa 1.000 dipendenti, impegnati in particolare sui temi legati a efficienza energetica, fonti rinnovabili, ambiente e clima. «E dove si fa già ricerca sull’idrogeno da vent’anni», spiega Giulia Monteleone, Responsabile Laboratorio Accumulo di Energia, Batterie e tecnologie per la produzione e l’uso dell’Idrogeno per l’Agenzia Nazionale.

Il Ministero dello Sviluppo economico finanzierà con 15 milioni di euro il progetto, ma l’indotto economico legato alle finalità industriali dell’applicazione di tecnologie all’idrogeno arriva tranquillamente a qualche miliardo di euro.

Idrogeno e produzione verde: perché oggi è il momento giusto

Si parla tanto di idrogeno, specie di green hydrogen, ma già vent’anni fa era un argomento di moda: nel 2002 venne pubblicato il libro di Jeremy Rifkin “Economia all’idrogeno”, che prefigurava questo elemento al centro del futuro energetico “democratico”, quale fonte pulita e rinnovabile. Ma poi non andò così. Perché oggi dovrebbe essere differente?

Per rispondere occorre partire dall’origine. Ovvero dalla definizione di cosa sia l’idrogeno, elemento più abbondante sulla terra e presente – sempre in combinazione con altri elementi – nell’acqua e in tutti gli idrocarburi, dal metano al petrolio e derivati. Per ottenere idrogeno puro occorre “estrarlo” da altri composti chimici: se avviene dall’acqua non si produce anidride carbonica, al contrario dei fossili: questo è l’idrogeno verde.

Ma se già dalla Rivoluzione industriale esso viene impiegato a livello industriale in modo consistente estratto tramite gas reforming da gas e da diversi composti del greggio, per diversi impieghi, non così avviene nel caso di produzione tramite elettrolisi dell’acqua (processo che utilizza energia elettrica per scindere la molecola d’acqua in idrogeno ed ossigeno). «Vent’anni fa questo processo era impensabile dati gli altissimi costi rispetto a reforming dai fossili – spiega Monteleone – oggi le cose sono cambiate grazie all’apporto delle fonti rinnovabili, capaci di produrre in alcune ore del giorno addirittura energia elettrica in eccesso».

L’industria italiana conta su un apporto consistente di idrogeno prodotto da petrolio e derivati. Il problema, diffuso anche in Europa, è la mancanza di infrastrutture dedicate. Se si parla, per esempio, di distributori d’idrogeno se ne contano solo sei, che si riducono a tre in funzione: a Bolzano, a San Donato (Milano) e a Capo d’Orlando (Messina), mentre in Toscana si conta il primo e unico idrogenodotto – con idrogeno prodotto mediante elettricità da fotovoltaico – in area urbana utile al distretto orafo aretino di San Zeno.

A livello di ricerca l’attività «prosegue ininterrotta da vent’anni in ENEA, che è partita dalle celle a combustibile, tecnologia di elezione per l’impiego di idrogeno».

L’Agenzia ha intenzione di proseguire e rafforzare quest’ambito, specie per l’idrogeno verde: dopo aver collaborato a vari progetti europei, nell’ambito del proprio piano triennale di realizzazione 2019-2021 presentato per la Ricerca di Sistema Elettrico, ENEA sta portando avanti numerose linee di attività e, in particolare sull’idrogeno verde, esse “mirano alla realizzazione e validazione, su scala di laboratorio, di quattro processi innovativi potenzialmente più efficienti dell’elettrolisi alcalina e PEM (membrana polimerica elettrolita) o in grado di essere alimentati con fonti energetiche diverse. In particolare, le tecnologie considerate sono l’elettrolisi AEM (con elettrolizzatori alcalini con membrana a scambio anionico), l’elettrolisi del vapore in carbonati fusi, i cicli termochimici di water splitting e il reforming del biogas a bassa temperatura”.

Idrogeno verde dalle fuel cell: lo stato dell’arte e l’utilità delle fuel cell

L’idrogeno è un vettore energetico che può assumere una funzione cardine nel processo di decarbonizzazione. Non solo: «può svolgere una ruolo importante di connessione tra la rete elettrica e quella gas, di bilanciamento della rete elettrica nel caso di sovrapproduzione: in questo caso l’elettrolizzatore può captare l’energia elettrica in eccesso e trasformarla in idrogeno e stoccarlo».

Un intervento di stoccaggio, a livello di rete gas lo sta portando avanti SNAM, contando sulla capillarità della rete gas: in questo modo l’idrogeno, sia pure in piccole percentuali, verrà veicolato al suo interno ottenendo così una miscela idrogeno-metano, il cui utilizzo ridurrà le emissioni di CO2.

Ma a livello di idrogeno verde, ossia prodotto da rinnovabili, a che punto siamo in Italia a livello di ricerca? Partiamo dagli elettrolizzatori, sistemi elettrochimici mediante cui è possibile ottenere l’idrogeno dall’acqua, una tecnologia analoga a quella delle batterie: «la ricerca sulle batterie e sulle fuel cell prosegue da anni in ENEA e così pure sull’elettrolisi dell’acqua, possibile sia con elettrolizzatori attivi ad alta o a bassa temperatura».

In quest’ultimo caso, ci sono due tecnologie ormai mature e già citate: gli elettrolizzatori Alcalini e PEM. «Invece gli elettrolizzatori ad alta temperatura – basati su processi potenzialmente più efficienti, ovvero in grado di consumare meno elettricità per produrre la stessa quantità di idrogeno – sono più innovativi, ma abbisognano ancora di ricerca: si tratta di celle elettrolitiche a carbonati fusi (MFC) e a ossidi solidi (SOEC – Solid oxide electrolyzer cell)». Queste ultime, che hanno la possibilità di operare in modalità “reversibile” potrebbero svolgere un ruolo importante per il sector coupling, ossia  funzionare come elettrolizzatori e produrre idrogeno verde quando si ha energia elettrica in eccesso ed al contrario funzionare come celle a combustibile, utilizzando idrogeno e producendo energia elettrica, quando la produzione da fonte rinnovabile è scarsa (durante la notte e nelle giornate poco assolate o poco ventose).

Ma, anche in questo caso, a livello industriale c’è già chi ha portato avanti e reso scalabile la soluzione ed è un’industria italiana, la SOLIDPower, che ha avuto riconoscimenti a livello internazionale per lo sviluppo di un particolare tipo di celle ad alta temperatura, le SOFC.


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Hydrogen Valley: una cittadella dell’idrogeno per unire ricerca e industria

Per riuscire a portare sul mercato la possibilità di produrre l’idrogeno in modo green c’è bisogno di creare una filiera tra mondo della ricerca e l’industria, unendo le competenze. Ed è questa finalità ad aver promosso la futura nascita della “hydrogen valley”.

«Questo progetto sarà finanziato in ambito mission innovation, iniziativa globale cui aderiscono 24 Paesi e la Commissione Europea (in rappresentanza dell’UE) che lavora per accelerare l’innovazione dell’energia pulita e che trae forza da investimenti pubblici e dal sostegno aziendale nella ricerca di nuove tecnologie per la decarbonizzazione».

Sono otto le “sfide” riguardanti tecnologie innovative, che comprendono smart grid e CCS, e tra queste appunto c’è ne è una dedicata all’idrogeno “pulito e rinnovabile”. L’impegno italiano, preso nel 2018 si suggellerà a breve – entro fine anno – con la stipula dell’accordo tra ENEA e Ministero dello Sviluppo economico». Quest’ultimo ha stanziato, come detto, circa 15 milioni di euro per la nascita dell’infrastruttura della hydrogen valley, un’autentica piattaforma dimostrativa polifunzionale di ricerca, sviluppo, innovazione e sperimentazione sulle tecnologie di produzione, stoccaggio ed usi finali dell’idrogeno.

Certo, la cifra stanziata dal Governo italiano non è paragonabile all’impegno economico di Francia o Germania, «ma è solo l’inizio, per avviare questo ecosistema-idrogeno e poi c’è la possibilità di contare anche sul Recovery Fund». L’obiettivo è sviluppare iniziative come queste: infatti, si parla già di Hydrogen Island o Hydrogen Port, ovvero nelle isole o nelle aree portuali. Ma intanto, fa sapere la stessa responsabile ENEA, «le interlocuzioni sono in atto con svariate industrie, a partire da SNAM con cui esistono accordi già firmati, e che sono attive in varie parti della filiera, arrivando anche alla mobilità».

L’obiettivo della cittadella idrogeno-centrica è duplice: da un lato vuole dimostrare la fattibilità e la possibilità di integrare tutte le tecnologie legate alla filiera idrogeno, dalla produzione allo stoccaggio fino all’uso finale; dall’altro si vuole puntare a garantire la necessaria sicurezza». Ma la finalità più importante è creare le basi perché la ricerca si traduca in applicazioni industriali.

I progetti di ricerca avranno ampio raggio, interessando persino la possibilità di produrre biometano partendo da idrogeno e dalla CO2 stoccata in altri processi fino all’impiego nel settore aerospaziale, dove già l’H2 si utilizza da anni.

Saranno garantite tutte le infrastrutture necessarie per fare ricerca applicata, a partire dalla già esistente rete gas indipendente, alla rete elettrica propria fino alla creazione di una rete idrogeno ad hoc. Le stesse navette per il trasporto del personale ENEA, un giorno, potrebbero essere a idrogeno.


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Fonte: Info Build Energia