Economia, governance e sostenibilità: l’energia muove il mondo, sostiene i sistemi nazionali e produce implicazioni di portata mondiale, con grossi effetti ampiamente dimostrati durante la pandemia da COVID-19. Parlare di energia porta a considerare le diverse attività quotidiane di ognuno di noi, ma anche un adattamento dei sistemi di produzione e distribuzione, comprendendo tutti i settori strategici per il Sistema Paese. La pandemia di coronavirus ha portato enormi sconvolgimenti al nostro mondo, erodendo vite e mezzi di sussistenza. Ma ci ricorda anche che ci sono alcune sfide che non possiamo affrontare da soli.
La sfida reale per un modello condiviso di sostenibilità ambientale ed energetica
Ampiamente discusso a livello nazionale, europeo e internazionale, il tema porta principalmente ad operare su due fronti, vale a dire la diversificazione del mix energetico – l’Italia ne è modello esemplare, considerando anche l’andamento del trilemma energetico – e la gestione della transizione energetica, già punto fondamentale dell’agenda politica di diversi attori e, in particolare, dell’Unione Europea.
Valore e opportunità: quanto pesa l’idrogeno?
L’idrogeno potrebbe coprire un quarto di tutta la domanda energetica in Italia entro il 2050 . Lo annuncia SNAM. Per comprendere in modo allegorico la portata dell’argomento basterebbe considerare che nel Piano nazionale integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), approvato in via definitiva lo scorso gennaio, il termine IDROGENO compare 55 volte, superando il fotovoltaico (48 ricorrenze) e l’eolico (33).
Aldilà del termine, in qualità di promotrice della Mission Innovation in cui l’affiancamento di idrogeno e fonti rinnovabili era un obiettivo consolidato, l’Italia sa bene che l’idrogeno rappresenta una grande opportunità soprattutto per quei settori ad alto consumo come trasporto, riscaldamento domestico ed applicazioni industriali. Le implicazioni green di questa operazione sono enormi sul piano anche europeo, con l’abbattimento del 55% delle emissioni di CO2 entro il 2030 e il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Non a caso, le due capofila italiane dell’energia – SNAM ed ENI – hanno largamente investito in tal senso e non sono le uniche. In Italia, il progetto H2IT - l’Associazione Italiana Idrogeno e Celle a Combustibile - coinvolge anche Sapio, Alstom e Falck Renewables, con il supporto di ENEA per il comparto Ricerca.
I fronti di utilizzo dell’idrogeno, secondo il PNIEC sarebbero sicurezza e integrazione delle infrastrutture elettriche e a gas, ma è presente anche l’energy storage. Infatti, tra le tecnologie promosse c’è il cosiddetto Power To Gas, ossia l’utilizzo di rinnovabili per produrre idrogeno e metano sintetico.
Secondo SNAM, il costo dell’idrogeno in Italia potrà essere competitivo già nel 2030 - in netto anticipo rispetto ad altri paesi europei - grazie alla presenza abbondante di rinnovabili. L’obiettivo è anticipare la corsa europea di 5-10 anni, portando su pari livello l’idrogeno verde e quello grigio derivante da gas naturale tramite elettrolisi, processi che l’Italia conosce ampiamente. Dopo il suo primo Transition Bond di 500 milioni, SNAM ha firmato un accordo con Alstom, RINA e l’Università della Calabria per finanziare progetti green: treni a idrogeno, infrastrutture di sperimentazione e test di pressione dello stoccaggio di idrogeno e altri gas.
Sul versante ENI, invece, gli sforzi maggiori riguardano la riconversione green di raffinerie (vedi Gela) e altri progetti come l’Hydrogen Park di Porto Malghera, che coinvolge Sapio, Berengo e Arkema. In Sicilia, inoltre, la conversione green avviene tramite la realizzazione dell’impianto Ecofining (bioraffineria con capacità di 750mila tonnellate annue) e lo Steam Reforming per produrre idrogeno utile ai processi di produzione del carburante premium Enidiesel+. Infine, non mancano gli accordi tra Eni e Toyota per punti rifornimento nel Comune di Venezia a cui si aggiunge il progetto di collegare lo stabilimento Versalis International (Eni) con la bioraffineria per la fornitura di idrogeno e in funzione nell’estate 2021.
Proiezione internazionale: obiettivo ancora lontano
Secondo l’International Energy Agency (IEA), il gas è attualmente la principale fonte di produzione di idrogeno: rappresenta i tre quarti della produzione annuale del mondo. Basti pensare che i soli Stati Uniti di Trump producono circa un settimo dell’offerta globale, la quale è composta per il 95% da gas naturale.
Sul piano europeo, in cui il gran modello energetico denominato Green New Deal richiede la coesistenza di idrocarburi fossili e il totale sfruttamento delle Fonti di Energia Rinnovabile (FER), la questione si fa molto più lenta e macchinosa: prospettiva di 30 anni, con lavoro profondamente intenso sul pieno utilizzo dell’idrogeno. Ancor peggiori sono le prospettive mondiali, in cui grandi attori internazionali, come la stessa IEA, stanno stimolando e promuovendo l’inserimento dell’idrogeno nei programmi energetici nazionali, attraendo diversi investimenti: dopo Paesi Bassi, Regno Unito e Giappone, si osservano gli sforzi economici dell’Australia che punta a diventare leader della transizione, seguita da Germania e Portogallo. Idrogeno verde e idrogeno blu rientrano già nella strategia europea che dall’8 luglio ha portato all’istituzione dell’European Clean Hydrogen Alliance, un corpo pubblico-privato che unisce leader civili, istituzioni e Banca Europea per gli Investimenti (BEI), in cui è presente anche SNAM.
Allargando lo spettro visivo, invece, è evidente come la sfida coinvolga l’intero globo. Se è vero che la transizione energetica rientra in un’ottica totalmente intersettoriale, coniugando sostenibilità ambientale, sociale ed economica, questo è ben insegnato da Eni – e non solo storicamente per l’ampia visione del fondatore Enrico Mattei. Il colosso italiano dell’energia è stato riconosciuto tra i più attivi membri del Global Compact, il movimento globale dell’ONU impegnato nell'allineare le imprese alle proprie strategie e operazioni con diritti umani, lavoro, ambiente e trasparenza e altri obiettivi più ampi degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).
La proiezione internazionale italiana sembra caratterizzarsi quindi di cooperazione pubblico-privata, un toccasana per gli investimenti esteri. L’idea promossa sembra riguardare la disposizione di pannelli solari nei paesi dell’Africa settentrionale, per poi sfruttare la rete di approvvigionamento esistente e importarne l’idrogeno. Questa operazione ridurrebbe i costi del 14% incentivando, non solo la posizione di hub naturale veicolando anche l’export stesso verso altri paesi europei, ma anche in una necessaria strategia di lungo termine, accelerando lo sviluppo di una filiera industriale dedicata attraverso la riconversione dell’industria esistente e l’attrazione di nuovi investimenti. Su questa linea anche Equinor, Shell, BP e Total si muovono per l’integrazione dell’idrogeno nel dossier dell’energia alternativa sia a livello applicativo che nella ricerca. Le prospettive per una completa integrazione sono decenni lontane, ma l’industria dell’idrogeno si pensa possa rivelarsi un pull-factor di eventuali variazioni sul piano politico, maggiore competizione internazionale per la sua produzione e, deduttivamente semplice ma non scontata, una possibile accentuazione dell’attrito USA-Cina.
Per non concentrarsi solo sul tema delle “tecnologie verdi”, è utile guardare l’ultimo accordo di collaborazione Air Product, società della Pennsylvania produttrice di gas naturale insieme a Shenhua New Energy, industria statale cinese specializzata in fonti di energia rinnovabile. Distributori di idrogeno nella provincia di Jiangsu, commissionati dall’organizzazione governativa China Energy Investment Group, non sono l’unica offerta sul mercato. Air Products vanta grande esperienza operativa in Cina, tra cui la fornitura dei bus a idrogeno per le Olimpiadi di Pechino 2008. Ad oggi è in accordi con la National Alliance of Hydrogen and Fuel Cells, altra associazione statale cinese che si occupa di divulgare la tecnologia in diversi settori industriali. Inoltre, alcuni media parlano della città ospite delle Olimpiadi invernali del 2022, Zhangjiakou, che ha deciso di rendere l’auto a idrogeno un biglietto da visita per trasformare la città in un modello dimostrativo per il mondo intero.
Non è tutto. La guerra per e dell’innovazione, oltre quella politico-economica, non è l’unica ad attanagliare le vicissitudini tra le due potenze globali. Dallo scorso 6 giugno, il centro di ricerca cinese China Aerospace Science and Technology Corporation (CASC) con sede a Pechino – un centro che coinvolge accademici ed esperti di settore – si è posto l’obiettivo di promuovere l'ampio utilizzo dell'idrogeno nelle applicazioni civili ma anche in quelle militari utili alla difesa nazionale.
Prospettive euro-atlantiche: ambiente e sicurezza
Non è un caso che l’Alleanza abbia uno dei suoi Center of Excellence focalizzato sull’Energy Security (ENSEC COE), tanto meno che le dinamiche ambientali siano ormai parte dell’agenda politico-strategica del Segretario Generale Jens Stoltenberg e di numerosi membri europei. Ne è prova il seminario dal titolo “NATO and Nature: a changing climate”, tenutosi a Bruxelles e promosso da Italia e UK in un quadro di cooperazione in linea con la mission della Conferenza ONU sui Cambiamenti Climatici (COP26).
Se in precedenza l’ambiente riguardava un concetto utile alla Sicurezza dell’Alleanza, nello specifico alla pianificazione e operabilità di un determinato contesto, questa volta il nucleo centrale è il medesimo ma il guscio cambia forma. Le variabili sono in primis il cambiamento climatico investito della nuova nomenclatura di “minaccia ibrida”, e l’energy security, intesa non come capacità dell’attore statale di assicurarsi i necessari approvvigionamenti, bensì la sicurezza che consegue dall’energia e quindi da un più ampio ventaglio di interazioni economiche, politiche, geografiche e purtroppo anche militari.
Se da un lato “NATO’s core task is to preserve peace... So, to fulfil our core responsibility, NATO must play its part”, dall’altro il quesito che già dallo scorso anno l’ENSEC COE si poneva riguardava più che altro l’identificazione della tipologia di rischi che conseguono a politiche energetiche innovative. Rischi di vario genere che come già detto intaccano una capillarità economica e politica in primis, ma nel caso dell’idrogeno particolare attenzione è data all’innovazione tecnologica.
La NATO perciò riconosce la necessità fondamentale di diventare maggiormente globale, con la missione di garantire, e far percepire, maggiore sicurezza nei confini euro-atlantici. Per farlo, considerare il binario rapporto Ambiente-Sicurezza è indispensabile sia nell’ottica prettamente militare - come conoscenza dello scenario di conflitto o di scenari conflittuali per via di instabilità ambientale - sia nel concetto più ampio di sicurezza, il medesimo che la pandemia COVID-19 ha intaccato, cioè come garanzia della normalità.
La transizione è sinonimo di pianificazione
Sfide significative e profondi cambiamenti sono le due facce della transizione energetica.
Per l’ambiente e la sostenibilità si è arrivati a un punto di svolta, di “rivoluzione verde” guidata dall’idrogeno. Dunque, una ramificazione dell’infrastruttura per il trasporto di gas, una competitività maggiore del mercato, la variazione dei mix energetici e soprattutto l’eliminazione dell’emissioni di CO2 sono variabili di straordinaria rilevanza.
D’altra parte, invece, la creazione di questo nuovo modello di sviluppo porta sempre più alla riqualificazione degli attori internazionali, statali e intergovernativi. Ne è l’esempio il contesto euro-mediterraneo, in cui l’Italia può sicuramente svolgere un ruolo baricentrico tra Nord e Sud del Mare Nostrum. I promotori italiani, così come altri attori non protagonisti, del comparto nazionale privato, sono quindi imprescindibilmente e severamente chiamati ad attuare forme di piena e sinergica collaborazione con il Governo centrale e l’intero comparto pubblico nell’identificazione di una politica energetica seria in linea con gli obiettivi nazionali, europei e internazionali. Una politica energetica che consideri l’innovazione tecnologica, la commercializzazione, lo sviluppo economico e sociale delle comunità coinvolte e, primo fra tutti anche se di più lungo raggio, la sfida ambientale quali elementi caratterizzanti del suo successo.
Fonte: ISPI