Intervista a Gianni Murano, Presidente Unem
Un “approccio agnostico” che riconosca il merito della decarbonizzazione indipendentemente dalla tecnologia. In questa intervista Gianni Murano, Presidente Unem, sottolinea l’importanza di basarsi sul principio della neutralità tecnologica e di puntare sui Low Carbon Fuels (LCF), i nuovi carburanti green che “rappresentano un’ulteriore chiave di accesso al processo di decarbonizzazione dei settori della mobilità in aggiunta all’elettrificazione del trasporto”. E che sono anche “indispensabili nei settori cosiddetti “hard-to-abate”, dove l’elettrico non riesce ad essere incisivo”.
Per incentivare la penetrazione dei LCF, evidenzia Murano, sono però necessari meccanismi premianti sulla parte fiscale del prezzo finale. “Dobbiamo trovare insieme alle Istituzioni nazionali ed europee una regolamentazione chiara e non penalizzante verso i combustibili liquidi a basse o zero emissioni”, dice Murano.
Infine, Murano parla anche delle varie applicazioni dell'idrogeno nella raffinazione, partendo dal presupposto che “il settore petrolifero è il settore industriale che oggi rappresenta le maggiori competenze e le maggiori esperienze nella produzione, trasporto, stoccaggio e impiego dell’idrogeno”.
Il settore petrolifero sta investendo diversi miliardi di euro nei nuovi prodotti decarbonizzati. Qualche esempio e best practice?
Il settore dell’energia a livello globale e le aziende nostre associate in Italia stanno investendo in prodotti low carbon perché credono nel processo di decarbonizzazione e nella necessità di fornire energia low carbon ad una mobilità sempre più esigente. In Italia sono già operative due bioraffinerie, tra le 9 presenti in Europa, e una terza dovrebbe arrivare nel 2026. Stimiamo che nel nostro Paese possono essere sviluppati progetti per prodotti decarbonizzati con investimenti pari a 8-9 miliardi di euro al 2030. Oggi in Italia possiamo contare su una capacità di produzione totale pari a 2,3 milioni di tonnellate/anno, che potrebbe arrivare ad oltre 5 milioni nell’arco dei prossimi anni, in grado di sostituire circa il 15% dei combustibili fossili.
In una prospettiva di progressiva trasformazione del settore, un ruolo cruciale lo svolgerà anche la produzione combinata di carburanti rinnovabili nelle raffinerie esistenti con la diffusione del co-processing, di matrici biogeniche selezionate. Sarà quindi fondamentale garantire tempi e procedure autorizzative certe, nonché incentivi ed accesso al credito.
Può illustraci la strategia a breve e lungo termine dell’industria petrolifera per lo sviluppo di questi nuovi prodotti decarbonizzati?
Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione fissati in sede europea è necessario puntare su un ampio mix di soluzioni energetiche. È necessario un approccio agnostico che riconosca il merito della decarbonizzazione indipendentemente dalla tecnologia. In questo ambito i Low Carbon Fuels (LCF) rappresentano un’ulteriore chiave di accesso al processo di decarbonizzazione dei settori della mobilità in aggiunta all’elettrificazione del trasporto. Sono, inoltre, indispensabili nei settori cosiddetti “hard-to-abate”, dove l’elettrico non riesce ad essere incisivo. La nostra strategia è perciò quella di valorizzare al massimo le eccellenze tecnologiche del nostro Paese promovendo lo sviluppo delle filiere nazionali e minimizzando gli impatti occupazionali, particolarmente gravosi in specifici ambiti territoriali. Serve quindi un approccio basato sulla neutralità tecnologica, che è sinora mancato a livello europeo, così come un calcolo delle emissioni che consideri l’intero processo produttivo della tecnologia utilizzata.
In termini ambientali, qual è il contributo che possono dare questi prodotti nel settore della mobilità?
Partiamo da un dato. In Europa attualmente circolano su strada circa 300 milioni di veicoli per il 99% equipaggiati da motori a combustione interna (ICE). Quindi, i veicoli stradali leggeri e pesanti, ma anche le navi e gli aerei, ancora per diversi decenni dovranno fare affidamento sui motori ICE per rispondere ad una domanda di mobilità delle persone e delle merci destinata a crescere. Per traguardare la neutralità delle emissioni di carbonio (net zero emission) in tutte le modalità di trasporto al 2050, occorrerà perciò rendere i motori ICE carbon neutral, e ciò sarà possibile solo azzerando la carbon intensity dei combustibili liquidi che inevitabilmente li alimenteranno.
Detto ciò, i LCF sono prodotti che presentano un livello di abbattimento della CO2 mediamente superiore al 65% ma che, in funzione dalla materia prima utilizzata o del processo produttivo, possono arrivare a percentuali di riduzione delle emissioni sull’intero ciclo di vita prossime al 100%, con l’ulteriore vantaggio di richiedere limitati adeguamenti infrastrutturali al sistema logistico-distributivo.
Cosa potrebbe fare il Governo per dare un maggior supporto degli investimenti in questo settore?
I LCF hanno un enorme potenziale per la decarbonizzazione dei trasporti, oltretutto immediata, in quanto offrono una soluzione flessibile e a basso costo rispetto alle altre alternative. Tuttavia, l’attuale strategia europea per i LCF oggi è legata solo ad obblighi che rendono vincolante per gli operatori l’immissione in consumo di prodotti con un contenuto rinnovabile via via crescente, e non prevede nessuna premialità come invece accade, ad esempio, per la mobilità elettrica. Esiste quindi la necessità di incentivare la penetrazione dei LCF anche attraverso meccanismi premianti sulla parte fiscale del prezzo finale. È un meccanismo usato con successo nel passato e non è l’unico. Dobbiamo trovare insieme alle Istituzioni nazionali ed europee una regolamentazione chiara e non penalizzante verso i combustibili liquidi a basse o zero emissioni.
Voglio solo ricordare che lo scorso 28 aprile a Torino, nell’ambito del G7 ed in piena sintonia con i lavori di preparazione del G20, è stata sottoscritta una “Joint Statement on Sustainable Biofuels”, ovvero una “Dichiarazione congiunta” di azioni a sostegno del ruolo dei biocarburanti nel processo di decarbonizzazione della mobilità. La Dichiarazione è stata firmata da oltre 70 stakeholders pubblici e privati, compresa UNEM, presentata durante i lavori del G7 e quindi consegnata ai Ministri dell’Ambiente per il prossimo G20 a guida brasiliana.
Un documento che, dopo la costituzione nel 2023 a Nuova Delhi della “Global Biofuel Alliance”, rappresenta un’ulteriore presa d’atto che i biocarburanti, e più in generale i LCF, sono parte della soluzione, peraltro in linea con gli impegni di “transition away” dai combustibili fossili assunti durante l’ultima COP28.
Il settore petrolifero sta sviluppando una serie di competenze anche nella produzione, trasporto, stoccaggio e impiego dell’idrogeno. Nello specifico, quali sono le varie applicazioni dell'idrogeno nella raffinazione?
Ogni anno nel mondo sono prodotte circa 75 milioni di tonnellate di idrogeno, quasi interamente utilizzate come materia prima all'interno delle industrie di raffinazione e della chimica. Le raffinerie italiane impiegano circa 500.000 tonnellate di idrogeno (il 90% dell’idrogeno impiegato in Italia) per numerosi processi non solo nei processi tradizionali, come eliminare lo zolfo dai prodotti raffinati, migliorare le caratteristiche qualitative, massimizzare le rese in distillati medi e leggeri, ma anche nelle bioraffinerie per produrre biocarburanti di altissima qualità. Possiamo dire che il settore petrolifero è il settore industriale che oggi rappresenta le maggiori competenze e le maggiori esperienze nella produzione, trasporto, stoccaggio e impiego dell’idrogeno.
In ottica 2050, l’idrogeno giocherà un ruolo sempre più importante, soprattutto per la produzione degli e-fuels che sono una combinazione di sintesi tra idrogeno e CO2. Il punto è che oggi l’idrogeno si ottiene principalmente dal gas naturale attraverso un processo di conversione termochimica (steam reforming) che produce CO2, il cosiddetto “idrogeno grigio” che può diventare “blu” se viene associata una tecnologia CCSU, ossia di cattura e stoccaggio di CO2, in attesa che si arrivi al “verde” che oggi ha costi proibitivi. In Europa ad attualmente ci sono 71 progetti CCSU per una capacità di 80 milioni di tonnellate al 2030, di cui la maggior parte in Nord Europa e Regno Unito e solo due in Italia. Appare dunque necessaria l’implementazione di un sistema che riconosca lo sviluppo di una produzione di idrogeno low carbon “blu”, ossia caratterizzato dalla cattura e stoccaggio della CO2 in fase produttiva, anche per non perdere un vantaggio competitivo.
Intervista di Elena Veronelli